Il prossimo 3 ottobre Papa Francesco firmerà ad Assisi la sua terza enciclica, che affronta il tema della fratellanza universale e porta come titolo “Fratelli tutti…”. E’ grande la nostra gioia per l’annuncio di questo dono, ancora più bello perché nella spiritualità del nostro Fondatore, il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta, il tema della fraternità è il rovescio della medaglia, la necessaria via per la quale la santità diventa storia, carità incarnata che può trasformare la società. Il testo che proponiamo è tratto dal libro “La rivolta dei samaritani”, pubblicato nel 1977 e può essere considerato il compendio del suo pensiero sul binomio santità-fraternità: la rivolta proposta da Giaquinta è quella di ‘samaritani’ che non solo si fermano per soccorrere il ferito, ma vanno in cerca dei feritori, perché anche essi sono fratelli da amare, da comprendere, da accogliere. Il brano proposto si sofferma sul concetto di ‘pietas’: è un invito a riscoprire la forza dirompente della fraternità, come valore da potenziare perché sia principio di trasformazione vitale non solo della vita spirituale, ma di tutta la società.
“Possiamo considerarci fratelli nell’essere e nelle finalità ma non nell’agire e nelle realtà concrete della vita?”, si chiede il Servo di Dio nel corso della sua riflessione, invitando a non rinunciare, a causa delle difficoltà, alla meta, che è camminare insieme verso l’amore del Padre.
Il valore della “pietas”, dono dello Spirito Santo, sta nel fatto che ha il potere taumaturgico di trasformare il genere umano in un’autentica grande famiglia di fratelli che tutti insieme possono coralmente innalzare al cielo il loro “Pater noster”.
Non che tale rapporto di fraternità possa distruggere le esigenze che vengono dalla giustizia e dalla carità. Al contrario la “pietas” suppone cose, alle quali però aggiunge il carattere di sacralità che nasce dalla comunanza dell’essere naturale e soprannaturale. Il più alto non distrugge il più basso. Il dono della pietas è capace di attenuare gli angoli troppo rigidi della giustizia e di dilatare le personali e soggettive limitazioni che alla carità pervengono dall’umano egoismo. Si può più facilmente cedere dinanzi ad un fratello che ad un estraneo, dare di più a chi ci è fisicamente o spiritualmente congiunto, che a chi non ha con noi legame alcuno.
Per comprendere il significato profondo, il valore pratico e l’ampiezza operativa della “pietas” nei rapporti umani, è però necessario individuare tutte le radici che creano l’umana fratellanza. Non possiamo limitare la nostra indagine al fatto che, provenendo noi tutti da Dio, siamo fratelli e come tali dobbiamo trattarci. La vita umana è una grande parabola che si conchiude con il ritorno al punto di partenza. Ricopia in qualche modo lo schema di Gesù: “sono uscito dal Padre per venire in questo mondo; di nuovo lascio il mondo e ritorno al Padre” (Gv. 17, 28).
Anche noi siamo in cammino pellegrini dell’eterno, verso il Padre che a noi ha donato la triplice universale vocazione salvifica, ecclesiale, santificante. Siamo fratelli non solo perché da Lui, Padre, siamo venuti, ma anche perché al suo amore noi tutti dobbiamo tornare.
Ed è proprio tale comune ritorno a Lui che fonda di fatto rapporti più ampi e quasi sconfinati del legame fraterno della “pietas”. Dobbiamo trattarci, aiutarci, amarci quali fratelli che insieme si sforzano di arrivare all’amore del Padre.
Se questo deve essere il canone interiore della vita spirituale, perché non dovrebbe esserlo anche per la vita sociale? Possiamo considerarci fratelli nell’essere e nelle finalità ma non nell’agire e nelle realtà concrete della vita? L’assurdo di una tale posizione rinunciataria è evidente e contro di essa dobbiamo schierarci, anche se non possiamo nasconderci che dura è la lotta contro l’egoismo che sta alla base della negazione dei legami umani di fraternità.
Nella esposizione del pensiero è però necessario distinguere sempre la verità assoluta dalla metodologia esecutiva. Il vero si staglia come punto immobile al di fuori del fluttuare delle vicende umane. Sarà verso di esso che noi dovremo tendere, con le nostre incertezze, miserie e cedimenti; lo faremo nel tempo e con molti sforzi. Ma finché tale vero brillerà come meta al di sopra del nostro sguardo offuscato dalle umane passioni, avremo sempre la speranza di avvicinarci ad esso, anche se non di raggiungerlo in assoluta completezza.
G. Giaquinta, La rivolta dei samaritani, 140-142