Il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta non ha mai fatto mistero della sua ‘simpatia’ nei confronti dei santi, anzi era proprio convinto che la loro amicizia, il loro esempio e la loro intercessione fossero parte integrante del cammino di santità di ogni cristiano. Con alcuni ha avuto di certo una maggiore affinità, si è trovato sulla loro stessa lunghezza d’onda e ha cercato di scrutarne il cuore per cogliere da ciascuno il segreto della sua santità.
Camminando alla scoperta dei santi ‘amici’ di Giaquinta, ci imbattiamo in san Francesco di Sales ed è facile cogliere tanti punti in comune tra i due. Entrambi sacerdoti, e poi vescovi, ma soprattutto due pastori che hanno fatto della direzione spirituale il loro programma pastorale e che hanno speso ogni energia per trasmettere la consapevolezza più profonda della loro vita: Dio ci vuole santi, tutti, senza eccezione alcuna. Chi ha avuto tra le mani il Programma minimo di vita spirituale, uno dei primi scritti di Giaquinta, noterà subito che nella stesura di quelle brevi note il Servo di Dio ha sicuramente preso ispirazione dal santo vescovo di Ginevra, proponendo una spiritualità forte, precisa, impegnativa, proprio perché convinto che la santità è una cosa seria ed è un cammino che non si improvvisa, ma necessita di esercizio, costanza, fedeltà.
Ecco la prima cosa accomuna il “Dottore della santità” e “l’apostolo della santità”: non solo la consapevolezza che Dio vuole la santità di tutti gli uomini, che la santità è accoglienza dell’amore di Dio, ma il desiderio di comunicare questa gioiosa scoperta, di non lasciarsi sfuggire occasione per ripeterlo, comunicarlo, trasmetterlo con passione e convinzione.
I testi di san Francesco di Sales, in particolare Filotea e il Trattato dell’amore di Dio (Teotimo), sono diventati, già durante la vita del santo, dei classici della spiritualità, dei testi di riferimento per quanti cercavano una via per vivere in maniera autentica, profonda, semplice, il Vangelo di Gesù. Anche Giaquinta li aveva nella sua biblioteca e certamente tante volte si sarà soffermato su quelle pagine, scoprendo, piano piano, come una trama nascosta, che il segreto di una vita santa, ‘devota’ come diceva il santo, è l’amore di Dio. Quell’amore che quando è accolto nella propria vita trasforma ogni gesto in espressione di vera carità.
Una seconda caratteristica che possiamo individuare nei due pastori è l’idea che la santità sia la perfezione della carità, che si raggiunge vivendone anche le sfumature: la dolcezza, la soavità, la delicatezza.
Infiammati dal fuoco della carità divina, i due ‘amici’ hanno compreso dunque che c’è un ulteriore passo da compiere: non basta accogliere l’amore di Dio, non basta amare il prossimo, ma occorre anche perfezionare il modo in cui si ama.
“Si prendono più mosche con una goccia di miele che con un barile di aceto”: è la sintesi della carità che per san Francesco deve essere dolcezza, benevola accoglienza, senza mancare di fermezza nel perseguimento del vero bene. La carità, dice il Santo a Filotea, “raggiunge la perfezione quando non è soltanto paziente, ma anche dolce e affabile”; dolcezza che non deve essere solo esteriore, ma deve trovarsi anzitutto dentro il cuore, perché i gesti di carità, di pazienza, di umiltà, siano sinceri, autentici, segno di una vera trasformazione che la grazia di Dio sta compiendo nell’anima. È lo sguardo verso Gesù, il contemplare Lui, mite e umile di cuore, che conduce questi due uomini a non accontentarsi di amare, semplicemente, ma a cercare sempre il di più dell’amore; anzi, diremmo che si sforzano di guardare ogni persona con il Suo stesso sguardo: “Gesù non è capace, nella sua bontà, nella sua delicatezza, di spezzare una canna incrinata e di spegnere un lucignolo fumigante. Finché c’è un palpito anche sono minimo di vita, c’è ancora una realtà di amore, c’è un aggancio su cui poggiare, su cui far leva, a cui attaccarsi per l’opera dell’amore” (Giaquinta). L’amore di chi vuole mettersi alla sequela del Maestro deve cercare le sfumature: “Il termometro dell’amore di Dio è l’amore del prossimo… Amore fatto di comprensione, di dolcezza, di pazienza, di generosità; amore che non giudica, non maligna, non mormora, non calunnia; amore che sa compatire e scusare il debole che cade, pur condannando il peccato e guardandosi da chi vuol nuocere. Amore che sa aspettare e sperare con sano ottimismo e non spezza la canna incrinata né spegne il lucignolo fumigante. Amore che non cura solo le grandi linee ma che si ferma al dettaglio, con delicatezza materna e che tutto dà – Gesù ha dato la vita – ed a tutti si estende – Egli ha perdonato sulla croce. Amore che è compassione affettiva ed effettiva per chi soffre e dolora, che è gioia per chi esulta e per chi della gioia sente il bisogno. Amore che in casa è luce e tranquillità e fuori casa è vita ed energia. Amore, soprattutto, che è irradiazione dell’amore divino. Far del bene a tutti, lasciare in tutti una traccia di Dio, specie in chi ne ha più bisogno: è la forma perfetta dell’amore ed è contemporaneamente l’espressione più bella dell’apostolato” (G. Giaquinta)
Infine, una terza caratteristica è la scelta di fare della direzione spirituale l’impegno principale del loro ministero pastorale.
“Vuoi metterti in cammino verso la devozione con sicurezza? Trova qualche uomo capace che ti sia di guida e ti accompagni; è la raccomandazione delle raccomandazioni”, che Francesco di Sales ricorda a Filotea, e che il Servo di Dio condivide pienamente. Dunque che fare? Naturale che la prima cosa è farsi carico di questa esigenza: il cammino della santità richiede una guida, qualcuno che si faccia compagno di strada in questo viaggio, che abbia il coraggio e l’umiltà necessari per riconoscere i passi che Dio suggerisce all’altro, che si assuma l’onere di generare figli di Dio. San Francesco ha scritto migliaia di lettere, ha dedicato tempo, ha percorso chilometri e chilometri per raggiungere le persone che il Signore ha affidato alla sua paterna cura; così come il Servo di Dio soprattutto negli ultimi anni della sua vita, diceva che non si era mai pentito delle ore trascorse nel confessionale, a dispensare la misericordia di Dio, ma soprattutto ad aiutare i suoi penitenti a scoprire la via di santità che il Signore tracciava per ciascuno di loro, in modo unico e irripetibile.
Se facessimo uno studio più accurato scopriremmo ancora tante somiglianze tra questi due maestri dello Spirito, ma quanto abbiamo fin qui detto ci è sufficiente per capire la cosa più importante: c’è un filo rosso, forse tante volte sottile, nascosto, invisibile, che lega i cuori di coloro che cercano Dio con sincerità, un filo che fa incrociare le strade anche di persone che non si sono conosciute perché vissute in epoche diverse, creando dentro la storia la trama della santità.
Cristina Parasiliti