Descrivere in poche righe “l’identità in azione” di una persona consacrata in un istituto secolare oggi, mi è parsa una bella sfida da accettare all’inizio di questo nuovo anno! Non so ancora se ne sarò capace… ma in ogni caso, almeno per me, ne sarà valsa comunque la pena! Da dove cominciare? Proprio ieri ho letto una frase che mi ha illuminato: “il segreto è diventare le due E. Quella con l’accento per essere e quella senza, per unire”. E allora mi piace partire proprio da qui! L’Essere dice chi siamo… è fondamentale essere consapevoli della propria identità, ma non è scontato! Bisogna fare i conti con due pericoli ricorrenti: mimetizzarsi in un melting pot che finisce per cancellare gli elementi distintivi o abbracciare derive identitarie che rischiano di alimentare nuove crociate. Questo, ahimè, può accadere anche alla vita consacrata… nessuno di noi è immune da queste tentazioni cosi lontane dalla logica del Vangelo in cui la consapevolezza del proprio essere è il punto di partenza per un’azione apostolica conseguenziale, armonica e feconda. Se sei luce illumini, se sei sale dai sapore, se sei lievito fai lievitare. Ma tutto ciò non può prescindere dall’adesione a Cristo, dall’appartenere a Lui, da un’identità che trova in Gesù di Nazareth la sua sorgente e la sua forma. Solo così, ci ricorda Papa Francesco, porterai Lui e non te stesso. Sì, perché un’identità che non scaturisce dalla relazione performativa con Cristo diventa mera affermazione di sé, del proprio status, nutre l’orgoglio, e porta alla convinzione di occupare, in virtù della consacrazione, un posto di privilegio, di essere autorizzati a esercitare piccoli o grandi poteri. “Tra di voi non sia così”… e allora essere laiche consacrate significa riscoprire, nelle pieghe del quotidiano, dove condividiamo con gli uomini e le donne del nostro tempo speranze, dubbi, incertezze… l’opportunità di rivelare un’identità chiara che non si impone, che non abbaglia, ma produce calore, che non cerca tanto le parole da dire, ma le occasioni per mettersi in ascolto, che non fa del servizio una “bandiera”, ma sa mettersi al servizio quando serve, che non ostenta la propria fede, ma è consapevole di dover custodire la scintilla che Dio ha posto nel suo cuore per non farla spegnere (cfr. S. Carlo Borromeo). Un’identità che si rivela nelle piccole e grandi occupazioni di ogni giorno attraverso le quali “possiamo ricevere pienamente Dio e dare pienamente Dio… Non importa che cosa dobbiamo fare: tenere in mano una scopa o una penna, parlare o tacere, rammendare o fare una conferenza, curare un malato o usare il computer” (Madeleine Delbrêl). L’identità umile di chi ha conosciuto la prova e continua a fidarsi di Dio, di chi ha mani vuote per seminare Speranza e crede, nonostante ogni evidenza, che anche nelle terre desolate del dolore, della solitudine, della mancanza di futuro, Dio farà fiorire nuove primavere.
Tornando alle nostre due E nella vita consacrata servono entrambe: non basta sapere chi siamo, qual è la nostra vocazione, il nostro carisma… occorre anche essere una “E” senza accento per unire! La comunione è il segreto del nostro essere persone consacrate… e questo a cominciare da noi stesse. “In un mondo spaccato e in frantumi, si impone una profonda e autentica unità di cuore, di spirito e d’azione” (F. Rodé). Spesso pensiamo che sia bello solo ciò che è perfetto, ma l’incarnazione ha irrorato di luce e di bellezza la carne e la vita che sono imperfette. Sulla mia storia di errori e sconfitte, Dio scrive la sua Storia. Allora bisogna fare pace con se stessi, unire limiti “e” doni, forza “e” debolezza, accogliere la nostra umanità per poterla offrire a Dio e ai fratelli nella sua interezza. Solo così potremo celebrare il mistero della comunione che si compie non solo sull’altare delle nostre chiese, ma nel quotidiano delle nostre vite. All’interno dei contesti in cui viviamo e operiamo, oggi più che mai segnati dall’individualismo, dall’affermazione di sé e dei propri spazi, siamo chiamate a essere segno di unione, penso sia questa “l’identità in azione” che più di tutte dovrebbe caratterizzarci. Nelle nostre famiglie e comunità sempre più frammentate, nelle nostre società sempre meno inclusive, nella Chiesa che ha bisogno di riscoprire la potenza rivoluzionaria della comunione… essere semplicemente una E che unisce! Lupo “e” agnello allora, vivranno insieme, la diversità diventerà realmente una ricchezza, l’apostolato non avrà più bisogno di progetti e di parole… perché nell’amore che avremo gli uni per gli altri tutti riconosceranno il volto del Maestro e ne saranno attratti. Concludo, con una preghiera di Madeleine Delbrêl che di “identità in azione” se ne intende, perché ogni persona che vive oggi la propria consacrazione nel mondo possa riscoprire il servizio umile, prezioso e indispensabile della comunione: “Nella mia comunità, Signore, aiutami ad amare, ad essere come il filo di un vestito. Esso tiene insieme i vari pezzi e nessuno lo vede se non il sarto che ce l’ha messo. Tu, Signore, mio sarto, sarto della comunità, rendimi capace di essere nel mondo servendo con umiltà, perché se il filo si vede tutto è riuscito male. Rendimi amore in questa tua Chiesa, perché è l’amore che tiene insieme i vari pezzi”.
Alida Lo Scalzo