Ci sono momenti in cui la vita impone delle battute d’arresto. In questo tempo storico l’umanità intera ha dovuto misurarsi con una pandemia che nel 2020 non riesce ancora ad arginare. In una condizione di decelerazione come quella che stiamo attraversando ci è offerta l’occasione per riscoprire il senso e la fecondità del tempo, anche quando si fa pausa, riposo, attesa. Ne riscopriamo la bellezza attraverso il brano suggerito di seguito.
L’arte dell’attesa
Oggi viviamo in un acceleratore di particelle, in un clima di permanente aspettativa; abbiamo di fronte una difficoltà che arriva a sembrarci insuperabile, quella di vivere come immersi nella lentezza e nella gratuità dei processi umani autentici, per eccezionali e quotidiani che siano. […] La nostra cultura, con il suo mito (ingenuo) dell’efficientismo e dell’utilitarismo, ha cancellato ormai da tempo il valore dell’attesa. I tempi stretti cui ci siamo adattati la rendono uno sperpero di vita, una dispersione irritante, nostalgica e obsoleta. Perché aspettare? Dal pret-a-porter al fast food, dalla comunicazione in tempo reale allo sperimentalismo istantaneo degli affetti, l’attesa è diventata un peso morto, con il quale non sappiamo confrontarci, e di cui, anzi, ci vogliamo liberare.
Forse il desiderio di istantanei è un riflesso difensivo dissimulato, la paura crescente che in questo mondo accelerato non ci sia, alla fine, niente o nessuno ad attenderci, Quando tutti vivono sotto forte pressione, tutto diventa pericolosamente precario. E’ quanto andiamo constatando, ma solo dentro di noi, impauriti e senza parlarne.
Ci riteniamo ipermoderni, polivalenti; ci dotiamo di tecnologia, come centraline ambulanti; siamo multifunzionale ma sempre più dipendenti, perfezionista ma sempre insoddisfatti; viviamo le cose senza poterci riflettere; siamo ormai prossimi a un’attività estenuante ma, alla fine dei conti, ben distanti dalla creazione. Forse avremmo bisogno di suggerire a noi stessi, e gli uni agli altri, che aspettare non è necessariamente prendere tempo. Molto spesso è il contrario. Attendere significa riconoscere il valore del proprio tempo, il tempo necessario per essere; significa prendersi tempo per sé come spazio di maturazione, come opportunità ritrovata; intendere il tempo non solo come cornice del significato ma come formulazione significativa di per sé. Chi non accetta, per esempio, l’impossibilità della soddisfazione immediata di un desiderio, difficilmente saprà cos’è un desiderio (o, almeno, un grande desiderio). Chi non aspetta con pazienza dopo aver seminato, non proverà mai la gioia di veder nascere il fiore. Per quanto riguarda i tempi, la vita è qualcosa di completamente artigianale. Non è possibile riprodurlo in serie né si può trovare già pronta da un’altra parte. La vita richiede la pazienza del vasaio, il quale, per realizzare un vaso che lo soddisfi, ne realizza duecento soltanto al fine di perfezionare il proprio gesto, la propria abilità, per mettere alla prova l’idea che si è fatta di quel vaso. Perciò mi piace molto l’umorismo di Edgar Morin: “Come tutti, detesto assolutamente le file d’attesa alle poste o negli ambulatori, e non sopporto le code burocratiche a cui siamo obbligati. Eppure, non smetto di attendere l’inatteso”.
Josè Tolentino Mendonca, (dal libro Liberiamo il tempo)