Si racconta che nei paesi assediati dalla violenza, la gente si muove in gran fretta come fosse in ritardo per un appuntamento, un treno, il cielo, ma il vero motivo è non diventare bersaglio facile da colpire. La nostra generazione, pur non avendo familiarità con il fantasma della guerra, conosce bene però l’agitazione del correre, l’ansia di portare a compimento ogni progetto. Svelti sono i passi, ma più rapidi sono i pensieri, i battiti, l’ansia per il futuro! Sulla nostra strada incontriamo oggi Edith Stein, filosofa, teologa, martire del XX secolo, una donna che prima di diventare monaca di clausura ha abitato le strade del mondo e gli ambienti più elevati della cultura e della ricerca umana. Alla sua scuola ci concediamo un momento di sosta per ritrovare il ritmo sano e fecondo della vita.
La “pausa” che fa la differenza
Quando la mattina ci svegliamo, subito i doveri e le cure del giorno vorrebbero inondarci da ogni parte (quando pur non ci hanno già angustiata la pace notturna). Si affaccia continuamente l’interrogativo inquieto: «Come posso fare tutto in un giorno? Quando farò questo, quando farò quello? Come affrontare questo dovere, come porre mano a quella faccenda?››. Ci si vorrebbe alzare d’impeto e gettarsi a capofitto nell’attività. Ma allora importa prendere in mano le redini e dirsi: Calma! Per ora niente di tutto ciò! La mia prima ora del mattino è del Signore. Poi affronterò il lavoro quotidiano che egli mi affida ed egli mi darà la grazia di adempierlo. Ora mi avvio all’altare del Signore, ove non si tratta solo di me e delle mie meschine faccende, ma del grande sacrificio di redenzione. Ad esso devo partecipare, purificarmi tutta, riempirmi di santa gioia e porre sull’altare, col sacrificio divino, me stessa, tutte le mie opere e le mie sofferenze. E quando il Signore verrà a me nella santa Comunione, gli potrò chiedere: «Che desideri, Signore, da me?›› (Santa Teresa). E ciò che, dopo il silenzioso colloquio con Lui, mi si presenterà come il compito più immediato, darà inizio al mio lavoro. Se comincio la mia giornata lavorativa così, dopo la messa mattutina, vi sarà in me un sacro silenzio e la mia anima sarà vuota da ciò che la inquieta e affatica e sarà piena, invece, di santa gioia, di coraggio ed energia. Ed ecco che essa è diventata ampia, perché è uscita da sé ed è entrata nella vita divina; come fiamma silenziosa, arde in lei l’amore che il Signore vi ha acceso e la spinge a contraccambiargli amore e ad accenderlo in altri.
L’anima vede chiaro davanti a sé il prossimo tratto di strada; non vede molto lontano, ma sa che quando sarà giunta là ove l’orizzonte limita il suo sguardo, si aprirà davanti a lei una nuova veduta
Ora comincia il lavoro quotidiano; può essere l’insegnamento. E’ necessario star sempre attenta; non si può ottenere in ogni ora ciò che si vorrebbe, forse in nessuna. Stanchezza, interruzioni non previste, discepoli impreparati, irrequieti, scontrosi. Oppure lavoro d’ufficio: rapporti con colleghi e superiori insopportabili, pretese impossibili, rimproveri ingiusti, meschinità umane, forse miserie di varia natura. Giunge la pausa meridiana. Si torna a casa esauste, affrante. E qui forse attendono nuove angustie. Dov’è andata la freschezza mattutina dell’anima? Anche ora ci si vorrebbe tuffare di nuovo nella lotta e nella tempesta: agitazione, irrequietezza, pentimento. Vi è ancora tanto da fare fino a sera! Non si deve dunque ricominciare subito? No! Non prima di aver trovato almeno per un istante un po’ di silenzio. Ciascuna (persona) deve conoscersi o imparare a conoscersi, per sapere dove può trovare un po’ di calma. Il miglior modo, se è possibile, sarebbe riversare tutte le proprie cure ai piedi del tabernacolo per un breve tempo. Chi non può farlo, perché forse ha bisogno di un pò di riposo, si trattenga un istante nella propria stanza. Ma se non è possibile un momento di calma esteriore, se non si ha un ambiente adatto in cui potersi ritirare, se doveri improrogabili impediscono un’ora di silenzio, sarà necessario almeno chiudersi in sé per un istante, separandosi da tutte le cose e rifugiarsi nel Signore. Egli è nel nostro intimo e può concederci in un solo istante tutto ciò di cui abbisognamo. Si affronterà poi il resto della giornata; la si passerà forse in grande fatica e stanchezza ma in pace. Quando poi sopravverrà la notte e guardando indietro vedremo quanto è rimasto incompiuto e come molti nostri progetti non siano stati effettuati, se ciò eccita in noi forte confusione e pentimento, prendiamo tutto così com’è e mettiamolo nelle mani di Dio, abbandoniamolo a lui. In lui potremo così riposare, veramente riposare, per cominciare il giorno nuovo come una nuova vita. Ecco un semplice cenno di come si può ordinare la giornata per dar posto alla grazia di Dio. Ciascuna [persona] saprà ben farne l’applicazione alla propria vita. […] La domenica poi deve essere come una grande porta, attraverso la quale entra nel trambusto quotidiano la vita divina che ci dà forza per lavorare tutta la settimana. I sacramenti sono i mezzi destinati a trasmetterci la grazia e non saremo mai abbastanza assidue nel riceverli. Ma Dio non è legato a questi mezzi. Nel momento in cui per una violenza esterna ci fosse impedito di riceverli, egli potrà soccorrerci copiosamente per altra via e lo farà con tanta maggiore certezza e abbondanza, a misura della fedeltà con cui ci saremo avvicinate in precedenza ad essi.
Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce