“Tutto è vostro … il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3, 21-23). La sorprendente affermazione paolina, che delinea compiutamente l’identità cristiana, ci sembra illuminare di luce particolare la “consacrazione secolare”, suggerirne quasi una radicale sintesi delle due “anime” che in unità caratterizzano le Oblate Apostoliche in quanto laiche consacrate.
In queste parole dell’Apostolo avvertiamo chiarissima la consegna “per vocazione” del compito a favore dell’“incarnazione a oltranza” in tutte le realtà terrene, umane e sociali, con espressioni molteplici e in ambiti differenziati, per requisiti personali e per esigenze ambientali … perché niente ci è estraneo e tutto ci riguarda! A una condizione, però, che tutto di noi sia di Cristo per essere pienamente di Dio.
Ecco la totalità della consacrazione, da cui scaturisce lo stato di appartenenza. Una triplice appartenenza: all’Istituto, per amore, per cui ci poniamo noi a favore del carisma e non invece propendiamo a piegare il carisma in nostro favore, anche se da esso scaturisce anche la realizzazione personale; alla Chiesa, nella piena consapevolezza della condizione privilegiata di ecclesialità in cui ci troviamo proprio in virtù dello specifico carisma abbracciato; a Dio attraverso il dono di Cristo, che ci fa creature nuove in mezzo ai fratelli, che postula adesione di pensiero (una specifica spiritualità), ascolto e silenzio (spazi di preghiera), comunione di vita (tensione mistica e fraternità), distacco da noi stesse (povertà), disponibilità apostolica e missionaria (strumentalità).
In forza di questa appartenenza – che ci “informa” e ci coinvolge tutte interiormente – e in nome dell’incarnazione – che ci mette a diretto confronto con la vita attuale – siamo chiamate a rendere feconda la nostra laicità consacrata attraverso una presenza che sappia reinventarsi ogni giorno, che si impegni a qualificarsi anche nei campi ritenuti profani o areligiosi come l’economia o altri settori scientifici, che si ponga in alternativa nell’esercizio della sanità o della legalità, che ci apra al dialogo ecumenico e interreligioso …
Una presenza dal timbro evangelico, dunque, che vada controcorrente, che sul piano etico può anche scomodare chi ci sta accanto e prima ancora noi stesse, ma che certamente risponde alle esigenze dei tempi e alle attese di tanti uomini di buona volontà. E nel ridisegnare in questa prospettiva il volto dell’Oblata Apostolica, senza peraltro snaturarne i lineamenti essenziali, il cuore si apre spontaneamente a quella dimensione profonda che possiamo chiamare “spiritualità dell’agnello”, di cui possiamo trovare – senza alcun’ombra di spiritualismo disincarnato – tracce significative nel carisma giaquintiano, in diretta sintonia con le pagine massimaliste del Vangelo.
Gesù dice: “Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo a lupi …” (Lc 10,3), non mancando di incoraggiare i discepoli di tutti i tempi: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno …” (Lc 12, 32). Siamo in perfetta linea con l’“ottimismo antropologico” raccomandatoci da padre Guglielmo; il che significa che il nostro compito è aprire gli occhi sull’umanità e comprendere che questo è il “secolo” a cui siamo inviate, dove ci aspettano non lupi ma fratelli bisognosi, anche quando non riconoscono di esserlo, professando un credo di autosufficienza, o assumono un comportamento opposto alla fratellanza.
Gesù dice: “Beati i miti, perché erediteranno la terra” (Mt 5, 5), aggiungendo: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore …” (Mt 11, 29). E quale icona più bella poteva indicare di sé, se non quella dell’agnello? In questa luce non ci è estraneo il reiterato insegnamento del Fondatore sull’umiltà, considerata elemento fondante della nostra spiritualità, vista come l’atteggiamento obbedienza proprio della fede, indicata quale virtù essenziale per la disponibilità strumentale propria della consacrazione.
È nell’umiltà che, man mano che assume in noi la forma di vera “mitezza evangelica”, riconosciamo la potenza di Dio nella nostra vita, che ogni giorno riprendiamo coraggio nell’andare, che diventiamo presenti, attive, operative, propositive, fiduciose, non contando solo sulle nostre forze. Ed è nell’umiltà, quasi tela grezza su cui lo Spirito Santo “dipinge il volto di Cristo”, che la nostra vita acquista la forza della testimonianza-proposta di santità per tutti.
Di Gesù Giovanni Battista dice: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29), profetizzando con l’immagine pregnante dell’agnello tutta la portata dell’opera redentiva del Cristo. Noi che siamo consacrate con la qualifica di “corredentrici”, non possiamo non seguire le sue orme, non imitare lo stile della sua donazione, non ripetere la nostra offerta in spirito sacrificale. Noi non possiamo non essere quel agnello che “prende su di sé” i problemi degli altri, che aiuta a portare le fatiche quotidiane dei tanti che ci passano accanto, che fa proprie le aspettative esplicite o le inquietudini inespresse dei nostri fratelli.
Ecco, dunque, noi che radicalizzando il munus battesimale per speciale vocazione siamo “il sale della terra e la luce del mondo”, noi chiamate ad essere laiche consacrate “per gli altri, come gli altri, in mezzo agli altri”, nel progetto della santificazione universale non possiamo disinteressarci di quella dimensione integrante del carisma che è la “spiritualità sociale”; non possiamo non assumerla cioè come nostro preciso compito, in piena responsabilità, attraverso una varietà di gesti e iniziative fraterne, per lo sviluppo della Fondazione che abbiamo abbracciato in spirito di famiglia.
Ed è ancora San Paolo che con la pregnanza della sua parola viene a illuminare il nostro itinerario: “Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele” (1 Cor 4, 1-2). Esortazione dal sapore squisitamente sacerdotale, che risuona dentro di noi appunto come una nuova sintesi e una rinnovata missione!
Mentre camminiamo lungo le strade del mondo come seme gettato nei solchi della terra, siamo invitate a restare fedeli, perché siamo nel mistero di un Dio geloso a cui apparteniamo e nello stesso tempo siamo strumenti nei confronti di qualcosa che non ci appartiene. Amministratrici, non proprietarie. Dispensatrici generose, non avare. Viatrici instancabili, non sedentarie. Apostole che vivono la duplice fedeltà a Dio e al mondo – al nucleo sacrosanto del carisma e alle legittime sfide contemporanee. Donne libere da compromessi, con tratto agile e snello di fronte a cose, persone, strutture. Oblate Apostoliche che fanno della coerenza a oltranza il voto essenziale della propria consacrazione secolare.
Marialuisa Pugliese