“La vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere, perché tutto è un miracolo, tutto quello che vedi; e non esiste un altro giorno che sia uguale a ieri, tu allora vivilo adesso come se fosse l’ultimo e dai valore ad ogni singolo attimo”: cosi si esprime Simone Cristicchi nella sua ultima canzone presentata a Sanremo: “Abbi cura di me”, con parole che fanno fiorire la poesia. Le cito per la sintonia che vi ritrovo. Con grande passione, credo nella vita come un miracolo che mi è stato donato dal Padre Creatore, vita dalla quale cogliere raggi di luce che mi fanno camminare e andare oltre l’immediato, il temporale, per assaporarne il senso più profondo e vero, per affacciarmi ai segreti del Cielo, a quella vita piena di cui oggi percepisco soltanto una nota, rispetto alla grande sinfonia che è la pienezza dell’eternità.
“È un miracolo tutto quello che vedi”. In questi giorni il miracolo l’ho colto negli occhi dei ragazzi della IV e V superiore di una scuola a cui propongo un progetto: “Le note della A”, sulla conoscenza di sé, degli altri e di Dio e sull’amore da scoprire dentro queste tre relazioni. In loro vedo tante potenzialità di cui a volte non sono a conoscenza, vedo tante ferite che nascondono con l’aggressività, vedo tanto bene ma anche tanta solitudine che a volte sfocia in atti di violenza; vedo tanti contrasti, capisco che sono alla ricerca di radici stabili, di sentimenti che fanno bene al cuore, di armonia. Stare con loro è sentirsi immersi in un universo dai mille colori, è contatto e contrasto con un mondo che ti fa riflettere e pregare. Nella loro giovane vita colgo una fame, forse inconsapevole, di “cose belle”, di persone coerenti, di adulti che si comportino come tali… non hanno bisogno di genitori-amici ma di mamma e papà. Sono loro il “miracolo” da custodire, di cui prendersi cura, da cui ripartire, senza la ripetizione di stereotipi del tipo: “i giovani sono superficiali”, sono dei “perdi-tempo” ecc… Stando con loro, purtroppo per pochissimo tempo, mi rendo conto che li devo guardare con occhi nuovi e buoni, devo starci, esserci, pur sempre per poco. E mi chiedo: “Cosa posso fare di più come cristiana, come consacrata laica?”. Il mondo giovanile è una terra assetata, e a volte sogno di poter restare con loro giorno e notte, guardarli, ascoltarli… e non sarebbe mai abbastanza!
Con questa inquietudine nel cuore e con la consapevolezza di essere piccola e impotente, esco da scuola e vado a fare una passeggiata, per respirare vita attraverso la città, per incrociare i volti delle persone, gli sguardi che parlano più delle parole. Incontro un mendicante su una sedia a rotelle che mi chiede l’elemosina, gli do uno spicciolo dicendogli: “ho solo un euro”; e lui mi dice: “Sai qual è il monte più alto del mondo? L’Everest! Se tu in quell’euro mi hai dato il tuo tutto, ecco tu sei l’Everest!”. Ringrazio il mendicante con un sorriso e so già che me lo porterò nel cuore per tutta la vita, perché mi ha ricordato che il miracolo più grande è esserci, dare il massimo, il proprio tutto, come sempre ha predicato il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta. Non potrò cambiare il mondo ma potrò essere “protagonista” di una storia che nel suo piccolo parla di eternità.
Maria Francesca Ragusa